I kamikaze di Fukushima
Negli ultimi giorni ci siamo dimenticati della Libia, della Tunisia, dell’Egitto, e che ad un tiro di schioppo da casa nostra c’è una lunga fila di Paesi (non solo i citati, ma tutta la fascia che va dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso) sull’orlo della guerra civile. Non che prima fossimo particolarmente in pensiero per le loro sorti, dato che la principale peroccupazione era la possibilità che qualche centinaio di rifugiati sbarcasse sulle nostre coste, ma per lo meno se ne parlava.
Da qualche giorno a questa parte, invece, abbiamo dimenticato anche la terribile “minaccia di un’invasione di immigrati” dal Maghreb (cito testualmente Gheddafi, manco fossero conquistadores, poveretti) perchè notizie più preoccupanti ci arrivano da oriente.
E non parlo del terremoto di magnitudo 9 (in realtà seguito da un altro di magnitudo 8.8) che ha fatto poche decine di morti, quando da noi a fronte di una intensità mille volte inferiore hanno perso la vita più di 300 Aquilani. Non parlo nemmeno della serie di tsunami che sono seguiti, e che tra morti e dispersi si sono portati via undicimila persone. Dopo un paio di giorni di commozione, sono cose che passano e se ne vanno. Chi si ricorda più di Haiti, per esempio? Quanti giorni sono passati prima che i 230000 morti provocati dallo tsunami nel sud-est asiatico nel 2004 sparissero dalle pagine dei giornali?
E’ naturale: se la cosa non ci tocca da vicino, difficilmente ne sentiremo parlare a lungo. Tuttavia stavolta credo che almeno fino al referendum del 12 giugno l’interesse rimarrà piuttosto alto su una cosa: gli incidenti alle centrali nucleari giapponesi colpite dallo tsunami. Continua a leggere